Comunicare senza bersagli, relazioni multi-stakeholder

Non esistono più “pubblici secondari”: ogni stakeholder è co-autore dell’universo narrativo d’impresa.
Comunicare significa armonizzare visioni, valori e aspettative in un ecosistema condiviso.
Perché ogni messaggio è una scelta relazionale.
E ogni parola può aprire o chiudere una connessione.

Comunicare senza bersagli: relazioni multi-stakeholder

Per decenni, la comunicazione aziendale ha vissuto nel paradigma del bersaglio.
Il target: un linguaggio militarizzato che rimanda a un’entità da inquadrare, segmentare, colpire con messaggi precisi e mirati. L’ideale era la “chiarezza del colpo”. Si trattava di trovare il messaggio giusto, per la persona giusta, nel momento giusto.

Quel mondo è finito. Oggi infatti ci muoviamo in un contesto multi-stakeholder, dove la comunicazione non è più diretta a un pubblico, ma si propaga tra pubblici differenti, spesso simultaneamente. Clienti, dipendenti, investitori, comunità locali, partner, istituzioni: tutti coesistono nello stesso spazio narrativo. Ed è proprio questo il punto: non si comunica più “a”, ma “con”.

Un tempo, quelli che oggi chiamiamo stakeholder venivano etichettati come “pubblici secondari”. Erano importanti, certo, ma subordinati all’audience primaria.
Oggi, sono “perception-holder” portatori attivi di percezione. Partecipano, influenzano, reinterpretano, moltiplicano il significato di ciò che vedono e ascoltano.

E se la comunicazione non li intercetta, non è che spariscono. Restano. Osservano. Giudicano. Oppure peggio: cambiano canale.
Come ricorda Henry Jenkins, le aziende non controllano più i loro messaggi: li co-producono con il pubblico.

Il rischio dell’unilateralità

In questo scenario, la comunicazione lineare diventa una trappola.
Parlare ai clienti senza tenere conto dei dipendenti rischia di svuotare la coerenza interna. Puntare sull’ESG per investitori e istituzioni può suonare vuoto se l’esperienza cliente è fragile. Motivare i team senza raccontare il futuro agli azionisti può generare disallineamento e sfiducia. Ogni messaggio diventa così un bivio strategico: può costruire connessioni oppure creare fratture. Può generare senso oppure confusione. Includere o lasciare fuori. In altre parole: ogni parola, ogni immagine, ogni segno conta.

Serve una nuova mappa per orientarsi. Per affrontare questa complessità, non bastano più i vecchi strumenti.  Una bussola capace di orientare il racconto attraverso le emozioni, le aspettative, le tensioni e i valori di ciascuno stakeholder.

Nasce così un modello come l’Emotional Field Mapping, che non si limita a mappare “chi è il pubblico”, ma indaga che campo emotivo occupa, quali aspettative lo attraversano, quali problemi lo attanagliano, quali speranze lo mobilitano, quali valori — anche impliciti — ne definiscono l’orizzonte narrativo.

Per iniziare a comunicare in modo realmente multi-stakeholder, ecco quattro passaggi fondamentali:

  1. Mappare gli stakeholder in chiave percettiva, non solo anagrafica
    Non basta sapere chi sono. Serve capire come percepiscono l’organizzazione, cosa si aspettano, quali tensioni li abitano. Ogni stakeholder ha una relazione narrativa diversa con il brand. C’è chi percepiscce un brand come coraggioso, c’è chi si fa percepire come indifferente.
  2. Costruire archetipi emotivi per ciascun gruppo
    Diventa utile assegnare a ogni stakeholder un archetipo comunicativo (il “custode”, l'”innovatore”, il “critico”, il “protettore”) e definire il tipo di tema – attivatore cognitivo – che lo attiva. Questo aiuta a calibrare tono, linguaggio, simboli.
  3. Disegnare scenari di senso condiviso
    Partire dalle domande che unificano (“Che futuro vogliamo costruire insieme?”) e costruisci messaggi che parlino a tutti senza annullare le differenze. Non serve semplificare, serve orchestrare.
  4. Collegare ogni messaggio a un punto d’impatto reale
    Un messaggio per essere credibile deve essere ancorato a un gesto, un fatto, un risultato. Non bastano le dichiarazioni di intenti. Le parole devono fare eco alle azioni.

Dal messaggio unico ai “messaggi armonici”

Una volta esplorato il campo emotivo e valoriale degli stakeholder, arriva il momento di costruire un sistema comunicativo capace di reggere la complessità.
In un contesto multi-stakeholder, frammentato e iper-percettivo, non basta più cercare il messaggio perfetto per tutti: bisogna progettare una comunicazione che tenga insieme differenze e aspettative, valorizzando la pluralità senza perdere coerenza.

Qui entra in gioco lo Strategic Message Planning™, un approccio che aiuta le organizzazioni a passare dal messaggio unico ai messaggi armonici.
Un sistema progettuale che non semplifica, ma orchestra. Che non cerca un centro monolitico, ma una vibrazione coerente capace di attraversare pubblici diversi con un’identità riconoscibile.

Come funziona questo sistema di planning strategico?

  1. Il primo passo è la decodifica degli snodi percettivi: capire dove, come e su quali temi si gioca la fiducia per ogni stakeholder. Non si tratta solo di individuare le aree tematiche, ma di comprendere i punti di attenzione, frizione e significato che guidano il modo in cui ogni gruppo si relaziona con l’organizzazione.
  2. Da qui si passa alla progettazione di assi tematici differenziati: non un unico messaggio da ripetere ovunque, ma linee espressive coerenti e flessibili, capaci di parlare linguaggi diversi senza perdere allineamento con la visione strategica. Ogni asse risponde a una domanda chiave (“Cosa ci unisce?”, “Qual è il nostro valore per questo stakeholder?”) e si sviluppa in una trama fatta di tono, contenuti, trame narrative, esempi, emozioni da attivare.
  3. Infine, la composizione modulare dei contenuti: i messaggi vengono adattati nella forma e nel tono in base al contesto, al canale e all’interlocutore, mantenendo integrazione e riconoscibilità. Slide, video, policy, eventi, comunicazione interna, social: ogni punto di contatto rafforza il sistema e partecipa alla costruzione di una reputazione coerente e relazionale.

Un messaggio armonico oggi, infatti, non si limita a “dire bene”.
Deve sintonizzarsi con le esigenze e le aspettative dei diversi mondi che un’organizzazione abita.

  • Per il cliente, dev’essere trasparente e autentico.
  • Per il dipendente, inclusivo e orientante.
  • Per l’investitore, solido e affidabile.
  • Per la comunità, rispettoso e trasformativo.

Come ricorda Simon Sinek le persone non comprano ciò che fai, ma il motivo per cui lo fai. E quel motivo deve emergere in modo riconoscibile e coerente in ogni singola espressione pubblica. Perché ogni messaggio è un atto relazionale. Ogni contenuto può creare connessioni — o fratture. La forza non sta nel trovare “la cosa giusta da dire”.
Ma nel progettare un sistema di senso coerente, distribuito, emotivamente solido, capace di tenere insieme diversità e visione. E in questo, il messaggio armonico non è un compromesso. È un atto di leadership comunicativa.

La comunicazione come spazio di alleanze

Così comunicare oggi significa molto più che trasmettere informazioni.
Significa creare le condizioni affinché stakeholder diversi possano sentirsi co-protagonisti della stessa biografia di impresa. Il che non vuol dire parlare a tutti allo stesso modo. Vuol dire mettere in relazione i mondi. Se ogni stakeholder può essere a sua volta autore, spettatore, critico e ambasciatore del brand, la vera sfida non è farsi notare. È farsi comprendere. E soprattutto: farsi ricordare per ciò che si è, non solo per ciò che si fa.

Se vuoi iniziare da qui, noi sappiamo dove ascoltare.

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